mercoledì 3 dicembre 2014

C'È UNA PANDA IN DIVIETO DI SOSTA di RITA PANI

 

Quando hanno iniziato a raccontarmi tutti i giorni di una Panda rossa, ho ricordato un paio di calzini turchesi. Un’associazione cromatica più che di idee.

Quando hanno iniziato a chiedere a gran voce le dimissioni del sindaco Marino, per un divieto di sosta, mi son ricordata delle dimissioni della signora Idem, richieste ed approvate a tempo di record.

Quando la popolazione di un quartiere è scesa in strada – quasi con le fionde e le torce accese – per scacciare 14 ragazzi richiedenti asilo, ho pensato che il mondo fosse ancora più fottuto di quel che immaginassi, ma poi un plotone di nazifascisti ha scacciato un gruppo di bambini da una scuola, e mi son convinta che spero di non scoprire mai quanto davvero siamo fottuti.

Oggi vedo rimbalzare la parola “mafia” e comprendo come questa sia utile a cancellare tutto il resto che essa cela, di fascismo, di malvivenza, di criminalità fascista, di merda vera, quella che mai avremmo pensato di poter tornare ad annusare e che invece è riuscita ad assuefare tutti quelli che dai colori vivaci  e sgargianti si lasciano attirare.

Possiamo dirlo che Roma funzionava così come funzionava e forse funziona ancora tutto lo stato Italiano? Possiamo dirlo che gente come Andreotti, Craxi, De Mita e Fanfani, in confronto ai figli del berlusconismo erano dei dilettanti? Perché sennò, il prossimo che andrà in giro con le scarpe gialle e la cravatta a pois rossi, ci fotterà ancora una volta.

Anche perché sono convinta di una cosa: il nostro grado di discernimento è ormai così deteriorato che a volte penso che se Marino avesse parcheggiato un transatlantico blu sui gradini di Trinità dei Monti, forse non sarebbe importato a nessuno. È solo colpa della Panda, che lo rende così miseramente uguale a tutti coloro che abitualmente parcheggiano in divieto di sosta, in seconda e terza fila, ma che davvero non tollerano che qualcun altro lo faccia. E tanto meno un sindaco! E che diamine!

E anche questo è berlusconismo. La mafiosità insita in tanta, tantissima gente che evade il fisco ma esige che gli altri paghino le tasse, che saltano le file e si incazzano se glielo fai notare, che gettano i frigoriferi sotto gli alberi in montagna, e mettono i cartelli sui cumuli della spazzatura per “ringraziare il sindaco”, fingendo di non sapere quanta mafia ci sia in ogni sacchetto non raccolto.

Ma sto divagando come spesso accade quando vengo colpita dal fascino delle farse italiane.

La domanda ora è un’altra: appurato che il comune di Roma era in mano alla mafia, ai terroristi dei NAR, ai reduci della Banda della Magliana, verrà commissariato? Probabilmente no. Probabilmente troveranno un giudice con le calze rosa, un magistrato che sotto i pantaloni ha le calze a rete, una giudice con le gambe pelose, la moglie del sindaco dal parrucchiere e tutto scivolerà via. Ci scoreremo e torneremo alla nostra guerra tra poveri, scordando anche come questa feccia, sulla povertà altrui che mostra di combattere, abbia fondato parte della sua ignobile ricchezza.

Rita Pani (APOLIDE)

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